Lufficiochenoncè IL TRASFERIMENTO PUNITIVO E L’ADDEBITO POSTICCIO Mi trovavo ancora in malattia quando mi fu consegnato l’ordine di servizio con cui si disponeva il mio trasferimento presso il Comando dei vigili. Un chiaro esempio che si voleva procedere contro di me con passo pesante. Troppo evidente che mi si volesse umiliare, calpestando i miei diritti acquisiti nel corso di un quinquennio e, addirittura, ponendomi sotto le grinfie di quello che sotto la divisa nascondeva il suo niente. Proprio la mattina del 4 luglio ero andato alla caserma del Carabinieri per consegnare al Maresciallo Fingo la mia denuncia, e la sua disponibilità mi fu più che evidente perché disse a un collega che bisognava procedere all’interrogatorio , come testi, di tutti i dipendenti coinvolti e ne chiedeva l’aiuto perché avrebbero dovuto convocarli tutti insieme e procedere a fare verbale delle loro testimonianze, evitando che potessero comunicare tra loro per escludere ogni possibilità che potessero mettersi d’accordo nel rispondere alle loro domande. Sentirlo parlare in quel modo non fece altro che aumentare il mio rispetto per la persona e la divisa che indossava e mi dava l’aspettativa che tutto si sarebbe risolto in breve tempo. Per questo motivo non mi preoccupai di quell’ordine di servizio; si trattava solo di aspettare e, nel frattempo, dilazionare i tempi in attesa che la Giustizia arrivasse. Quella sera andai a consultare un avvocato a cui i ero rivolto più volte ai tempi in cui svolgevo la mia attività sindacale. Non avevo nessuna intenzione di porre la questione in mano ad un avvocato. Volevo solo un suo consiglio e lui si mostrò molto asettico e professionale, esperto com’era in sul diritto del lavoro. Mi consigliò soltanto di insistere, in ogni mia lettera che avessi scritto, sulla parola “persecuzione” e dichiararmi vittima di tale comportamento e di mettere in luce, dovunque mi collocassero, sul fatto che non ero adibito ad alcuna mansione effettiva. Me ne andai via da lui del tutto insoddisfatto, comprendendo che ormai potevo contare solo su me stesso e sull’Arma dei carabinieri e mi veniva in mente, sempre più spesso, un distico; due versi che, in seguito, mi dettero l’idea che avrei potuto raccontare quella storia in una specie di poema eroicomico. Il distico che non ebbi mai modo di inserire nel seguito del poema che iniziai, poi, a scrivere solo l’anno seguente, era questo: e ogni giorno, in cima ai suoi pensieri restava l’Arma dei Carabinieri! La lettera di risposta all’ordine di servizio la presentai con la data 6 luglio per fare parallelo con la data del fattaccio da cui erano trascorsi, appunto, trenta giorni. segue…
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Capitolo DODICESIMO L’UFFICIO CHE NON C’E’
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