Lufficiochenoncè LA TERZA DENUNCIA Avevo avuto notizia nel frattempo di quella frase pronunciata da Zaccaro nel corso di una conferenza dei Dirigenti quando si era riunita per escogitare come tenere testa alle lettere che avevo inviato loro per evidenziare il problema degli assegni e le responsabilità dirigenziali che l’avevano creato. Il fatto che, tra gli altri, sia stato lo stesso Pietro Zaccaro a informarmi della frase da lui pronunciata “Eh che? Volete fargli un Tso?”, o qualcosa di simile, la vedevo io stesso come una battuta di spirito espressa contro i presenti, utile a dimostrare l’inettitudine di quegli incapaci cospiratori. Se ciò lo escludeva dai congiurati non lo escludeva dalla colpa di aver assistito al complotto e, quando poi era a realizzassi, di non averlo impedito. Ma era tanto comune e abituale il degrado di quei dirigenti e dell’andazzo che inquinava il Comune delle Bananas che ogni colpa individuale veniva coperta e subìta come se quella condizione fosse normale e connaturale al loro ruolo. Tale notizia mi dette, però, occasione di produrre la mia terza denuncia del malaffare e, pur citando Zaccaro tra quelli che ne avevano informato, non feci il suo nome nella esposizione che presentai ai Carabinieri. Bastava, a mio parere, che quella notizia, utile a dimostrare che esisteva una congiura per farmi fuori, fosse acquisita tra le prove che il Maresciallo Fingo stava raccogliendo con la convocazione, come credevo da illuso, di quanti erano coinvolti nel misfatto. C’era poi l’altra notizia che mi era pervenuta. Avevo già sentito voci a proposito e cioè che si diceva in giro e cioè che il Trattamento obbligatorio fosse stato richiesto da mia moglie e che l’amministrazione non aveva potuto far altro che realizzare un provvedimento senza doversene fare colpa. Ma erano, queste, notizie per un sentito dire indiretto, strisciante, per cui non avevo modo di farne citazione solo sulla base di voci di cui non potevo produrre testimonianza. La prova la ebbi quando, interloquendo con Michele Monaco e accusandolo di non aver mosso un dito a mio favore per quanto, essendo capo gruppo del PD, fosse all’opposizione di una amministrazione che aveva attuato un così grave reato, questi, si giustificava con l’affermazione di non essere intervenuto in quanto l’amministrazione negava di essere colpevole di qualsivoglia reato avendo eseguito una certificazione medica richiesta da mia moglie. Ora, invece, risultava chiara la colpa di chi è costretto a difendersene con una menzogna. In quella stessa denuncia, insieme ad altre considerazioni, evidenziavo come il trasferimento presso i vigili urbani si rappresentasse in continuità della persecuzione iniziata con il trattamento sanitario di cui ero stato fatto oggetto ponendomi, con ragioni del tutto pretestuose, alle mercé di un comandante da me denunciato per cui, nel sollecitare un immediato intervento della autorità giudiziaria che ponesse fine al clima di illegalità e di abusi, chiedevo di essere convocato in Procura.
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Capitolo DODICESIMO L’UFFICIO CHE NON C’E’
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